Nacque inizialmente come racconto very short per un concorso che faceva da corollario a Lucca Comics & Games (e infatti il titolo originale era “L‘Unicorno Che Combatté Astutamente”), ed è stato ripubblicato in forma originale sul volume antologico “Nowhere Uno“, edito dalla Nowhere Publishing.
Tuttavia quella che state per leggere è una versione ampliata e per me definitiva del racconto. Che, stranamente, mi soddisfa pienamente.
Le illustrazioni sono della bravissima Elisa Delpiano.
L’Unicorno di Penvaryn
C’è un detto nella foresta di Penvaryn : “una freccia prima colpisce, poi chiede chi è”.
In questo luogo magico viveva ormai da molti anni un possente unicorno, dal manto argenteo e dallo sguardo fiero. Il suo nome era Zala-Han, che nel dialetto silvano significa bianco custode, ed era uno degli ultimi unicorni rimasti a Penvaryn.
Il suo branco si era spostato verso le terre innevate a nord, ma lui aveva deciso di restare per tenere fede al suo ruolo: far rispettare le leggi della natura nelle zone dove l’influenza delle antiche dee si era indebolita, dove il metallo viene lavorato e le frecce sono più letali del morso di un lupo.
Quei luoghi dove la mano dell’uomo ormai si estende senza ritegno.
Zala-Han non se n’era andato. Troppo fiero per scappare, troppo ligio al dovere per disubbidire alla sua natura. Il suo corno, lucente e appuntito, era fonte di paura e rispetto da parte degli altri animali della foresta, sia prede che predatori. Ma era anche il sogno di ogni bracconiere che si aggirasse per quelle terre.
Questo però non aveva mai spaventato il saggio unicorno. Arrendersi alla paura come avevano fatto i compagni del suo branco non era contemplabile, specie quando c’è un bene più grande da perseguire.
Un giorno, mentre Zala-Han galoppava nella foresta, udì un lamento provenire da una radura poco distante. Dal suono poteva riconoscere un cervo probabilmente ferito, ma al tempo stesso non aveva avvertito la presenza di predatori nelle vicinanze. Era un lamento prolungato, per cui l’animale non doveva essere in pericolo imminente. Poteva essere malato o, peggio ancora, caduto in una delle tante trappole messe in giro dagli umani.
Arrivato sul posto, le paure dell’unicorno furono reali: vide un grosso cervo accasciato al suolo, con una delle zampe tra le fauci di una tagliola.
L’animale continuava a lamentarsi.
Zala-Han si guardò intorno. Nell’aria non c’erano odori diversi tranne quello del grande cervo e del sangue. Stabilito che non ci fosse nessun altro, partì per cercare di liberare l’animale.
Una volta arrivato nei pressi del cervo però, cominciò a notare qualcosa di strano: il suo corpo era completamente immobile, nonostante continuasse ad emettere il lamento. E c’era uno strano odore. Un odore… di morte, più che di sofferenza.
L’unicorno non ebbe il tempo di pensare ancora, perché da sotto il corpo del cervo comparì improvvisamente e con grande agilità un cacciatore con arco e freccia incoccata.
L’uomo stiracchiò i muscoli del collo, probabilmente era rimasto nascosto in attesa di quel momento da chissà quanto e con l’arco ben saldo in mano cominciò a girare intorno a Zala-Han con aria di sfida, fiero della buona riuscita del suo piano.
Teneva in bocca un piccolo beccuccio, da cui fece provenire il suono dell’animale ferito. Lo fece suonare più di una volta, quasi per irridere l’unicorno e rendere ancora più evidente il suo inganno.
L’unicorno non si perdette d’animo : « Chi sei? » esclamò.
L’uomo sputò il beccuccio per terra, spavaldo e sicuro di sé. « William Garinor, il più grande cacciatore di queste terre! »
Zala-Han ebbe un sussulto. Conosceva la fama di costui. Era uno dei bracconieri più temibili che esistessero e diversi compagni della foresta erano caduti a causa sua. Era conosciuto come “la freccia dorata”, per via delle sue frecce laminate d’oro con cui si diceva volesse impreziosire la morte delle sue prede.
Anche se alcuni dicevano che lo facesse semplicemente per rimarcare la sua folta chioma bionda. Pare che fosse piuttosto vanitoso e arrogante.
« Finalmente ti ho trovato, sono mesi che cerco di stanarti » proseguì Garinor, « I nobili della contea faranno a gara per avere la tua testa esposta sopra il loro caminetto. E mi ricopriranno d’oro e gloria! »
Zala-Han si maledì per essersi lasciato attirare in quest’inganno. Ma anche in quel momento non pensava a se stesso. Temeva per la foresta e per gli animali che sarebbero potuti essere catturati per mano di quell’uomo.
Garinor tese ancor di più l’arco. « Ti colpirò dritto al cuore, assaporandone gli ultimi battiti fino alla fine. E non sperare di scappare, non ci sono alberi qui intorno, non c’è preda che possa sfuggire alla mia abilità. »
« Davvero sei così bravo? » chiese l’unicorno.
« Dubiti di me? »
« Dimostrami che sei il migliore, e sarò felice di morire per mano tua. La mia regalità sarà salva. Se riuscirai a colpire il mio corno con la tua freccia, saprò che sei veramente degno! »
Garinor non si fece pregare. « Troppo facile. Ammira, lurido cavallo da monta! »
La freccia sibilò fendendo l’aria veloce come un falco in picchiata e seguita da un ghigno di superiorità del cacciatore colpì il bersaglio. Ma il sorriso di Garinor presto si trasformò in una smorfia di paura quando vide la punta della freccia spaccarsi contro il corno e successivamente l’animale caricare contro di lui.
Quel giorno non fu il cuore dell’unicorno a smettere di battere.
Da allora, c’è un nuovo detto nella foresta di Penvaryn : “Un unicorno prima chiede chi è, poi colpisce”.
è bellissima questa storia
lo sò piace anche a me
gli stà bene a quel cacciatore