Questo è una di quei racconti che paragonerei ad un fiume. Lungo, mutevole, impervio e perennemente in movimento. Uno di quelli che vorrei fosse perfetto ma che non lo sarà mai. Che vorrei modificare in continuazione, stravolgendo il suo ecosistema narrativo ogni volta che lo rileggo. E anche il finale, penso che sia come quello di un corso d’acqua.
“Dici che il fiume
Trova la via al mare
E come il fiume
Giungerai a me
Oltre i confini
E le terre assetate
Dici che come fiume
Come fiume…
L’amore giungerà
L’amore…
E non so più pregare
E nell’amore non so più sperare
E quell’amore non so più aspettare…”
Sarà vero? (Per chi non l’ha riconosciuta è la parte lirica di Miss Sarajevo). Però è un bel paragone, credo, oltre che dei bellissimi versi… Mi piacerebbe credere in qualcosa come farebbe Petra. Mi piacerebbe cercare di raggiungere questo qualcosa, qualunque esso sia, come farebbe lei, con tutte le sue forze. Andando contro tutto e tutti. Ho sempre ammirato la determinazione come qualità nell’uomo… E non solo nell’uomo. Ma in fondo gli uomini non sono altro che bestie in grado di perdersi in pensieri inutili. O fare del male per scelta, non per istinto. Non tutti, s’intende.
Prima di lanciarvi nella lettura, vi avviso che questo racconto è perfettamente comprensibile solo leggendo tutta la storia di Shadows – Hooligans. Più che altro la parte finale e un paio di riferimenti. Però insomma, spero vi piaccia anche stand alone. Rileggendolo credo che possa funzionare anche così.
Le illustrazioni a corredo sono di quel drago (in tutti i sensi, vista la passione per il fantasy) di Andrea Guardino.
Buona lettura e… Salutatemi Petra, se la incontrate.
PETRA
Petra si ridestò di soprassalto. La vista annebbiata, il fiatone sporco e un insolito mal di testa. Che incubo terribile: aveva sognato di essere stata incappucciata, trascinata in un luogo ameno e poi gonfiata di botte e calci. Quel freddo, quel sapore di plastica e metallo sul corpo… E quel terribile odore di benzina dopo ogni colpo. Odiava l’odore di benzina, sapeva di metropoli, fumo, fogne. Sapeva di Città delle Ombre.
Ma per fortuna era tutto un sogno, pensò Petra. Cercava di mettere a fuoco gli oggetti intorno a lei. Una stanza buia. Niente luci, se non un fioco bagliore proveniente da una finestrella in alto. Forse era una cantina? Attrezzi, sporcizia. McGuyver ci avrebbe potuto fabbricare una testata nucleare, ma questo è un altro discorso.
Si accorse abbastanza in fretta del sacco vicino a lei, riconosceva il suo odore dentro. E pian piano che la mente mieteva vittime nella nebbia dei ricordi, sentì alcune fitte sul corpo. La sensibilità stava tornando, e faceva molto male. Cazzo se faceva male.
La luce. Quella debole luce che fluiva dal pertugio la attirava ma non riusciva a vederla. Le ricordava qualcosa, ma non avrebbe saputo dire di più. La sua testa in quel momento era una grande finestra appannata.
Si mise in piedi.
Erano in più persone, non se l’aspettava ed ebbe la peggio. Era chiaro. Ma come hanno fatto a sorprenderla? Lei che è sempre così attenta… Il suo senso per il pericolo e in geneale per quello che le sta intorno era sempre stato molto sviluppato. C’era qualche nodo rimasto ancorato nel pettine, ma ora non aveva importanza. Nella sua esperienza, alle botte generalmente seguivano altre botte. Era questo che contava ora.
Petra aveva sempre dovuto lottare per emergere, per affermarsi, per vivere. Sgomitare in un mondo che non riconosceva propriamente come suo e di cui non voleva accettare tutte le regole. Un mondo che fin da piccola l’aveva obbligata a cavarsela da sola, quando era stata abbandonata. E da allora solo poche sparse persone si erano prese cura di lei, anche se nessuna di esse era mai riuscita a tenerla stretta a sé. Tutti prima o poi erano scomparsi, ma lei non aveva mai ceduto.
Petra era giovane, ma sapeva già come andavano le cose. Il suo unico timore era l’uomo, perché gli uomini seguono regole diverse da quelle della natura. Nel suo corpo scorreva sangue di lupo, e questo la rendeva diversa da tutti gli altri cani della sua taglia. Negli anni poi aveva maturato la convinzione di esserlo davvero, un lupo, e non un semplice incrocio di razze. Lei non aveva mai avuto bisogno di sapere altro. Sapeva quello che doveva fare, se voleva qualcosa cercava sempre di ottenerla. Per lei non esistevano tentazioni. Prendere o lasciare, bianco o nero.
Con un mormorio si disse che non poteva aspettare qui perché se alle botte seguono altre botte doveva necessariamente scappare. Doveva ritrovare quella luce, ritrovare i ricordi, uscire da quel limbo. I suoi occhi cerulei ripresero subito vita.
La porta sembrava bella spessa e altrettanto ben sigillata. Mentre annusava tutt’intorno alla ricerca di qualcosa, sentì improvvisamente dei rumori provenire dall’altro lato. Si irrigidì all’istante.
Dopo un suono di chiavistelli entrò un uomo. Un omone grande e grosso con i capelli argentei e un lunga frusta nella mano sinistra. Aveva un’aria severa, quasi come quella di un giudice. A Petra osservava la frusta: alle botte seguono sempre altre botte.
– Non dovevi svegliarti adesso, piccola puttanella. Avresti dovuto dormire ancora un po’. Ma chi se ne fotte, ahaha! – nella mano destra teneva un grosso collare attaccato ad una catena con una museruola.
– Ancora non so che hai fatto per meritarti di essere qui. Ma mi sarai molto utile, vedrai. Ora dovrai fare quello che dico io – e così dicendo fece schioccare la frusta per terra.
Petra iniziò a piegarsi sulle zampe. Cominciò a ringhiare e abbaiare di fronte al suo carceriere. Mostrò i suoi denti aguzzi come faceva con gli altri animali, ma di fronte aveva una bestia ben più pericolosa.
L’uomo si fece se possibile più minaccioso, curvandosi in avanti quasi a deformarsi.
– Vuoi scappare, stronzetta? Sono io che decido dove puoi andare… – diceva agitando il collare.
I due contendenti si studiavano. Petra attese. Attese. Doveva vedere la mossa del suo avversario. Attese ancora. Petra sapeva aspettare.
Poi l’uomo dai capelli argentei alzò di scatto la frusta per colpire la lupa squarciando la tensione di quegli attimi.
La lupa non desiderava altro: si scansò di lato con un balzo e con un nuovo salto repentino aiutandosi con il muro arrivò a mordere la mano del carceriere, lacerandogliela brutalmente. La frusta cade a terra come un serpente morto tra le sue spire.
– Brutta troia, io ti stacco le zampe e le uso per sturare il culo di… – Prima che potesse finire Petra gli si avventò alla giugulare, stringendo le sue zanne con tutta la forza che aveva in corpo. L’uomo istintivamente serrò le grosse mani sul collo della lupa cercando di strangolarla. Stringevano entrambi e il loro dimenarsi sembrava un’assurda danza moderna. Ma non potevano mollare, sapevano che non ci sarebbe stata una seconda possibilità. Non ci sarebbe stato un applauso dal pubblico per entrambi. In un tripudio di sangue, polvere e urla lo scontro proseguì ancora per alcuni interminabili secondi.
Poi la lupa mollò la presa, sfinita, e cominciò a tossire violentemente. Il carceriere dai capelli argentei era in piedi, alto, marmoreo. Si rovesciò contro di lei. Il suo ultimo rantolo soffocò in uno zampillo di sangue, inondando il pavimento e il manto di Petra.
Lei si issò sopra il corpo esanime del suo assalitore. Il suo sguardo era fiero, concentrato, teso. Il suo naso fendeva l’aria in cerca di quel dettaglio: nessun odore di benzina, solo morte con un leggero retrogusto di cuoio e pelo bagnato.
Vide una luce in fondo al corridoio che si era aperto davanti a sé e senza pensarci attraversò la lunga oscurità finendo in strada.
Finalmente, la libertà.
Pioveva a dirotto ma la lupa continuava a correre.
Era ancora troppo forte il senso di vita che le rientrava in corpo per fermarsi. Abbassò il capo, tirò indietro le orecchie. Attenta.Sempre attenta. Perché la Città delle Ombre è una cloaca che può risucchiarti nel suo ventre marcio ma Petra non lo avrebbe permesso. Era il suo viaggio e l’avrebbe portato a termine.
Realizzò in fretta che non sapeva dove fosse. Si era persa… Era strano, per una come lei. L’unica sicurezza era la pioggia. Che fortuna.
Non sapeva dove andare, dove girarsi. Non c’erano odori, l’acqua stessa li cancellava con la stessa velocità di un tergicristallo. Petra vagava, come un fantasma in cerca di pace. Ma la pace non è di queste parti.
Aveva freddo. Era sempre stata una creatura piuttosto freddolosa, il che è buffo vista la sua pelliccia. Avrebbe voluto che ci fosse qualcuno a metterle una coperta addosso. Una coperta fatta anche di parole e buone intenzioni, ma era sola. Si è sempre soli in questo mondo di merda, quando serve. Anche quando abbiamo qualcuno al nostro fianco.
Ma un lupo non può pensare di non farcela. Un lupo alza la testa, un lupo guarda avanti. Luce. Ritrovala.
Doveva ritrovare quella luce che rimbalzava nella sua memoria come la pallina di un flipper.
Oltre al freddo scoprì di avere fame. Sapeva resistere senza mangiare per molto tempo ma l’adrenalina del combattimento precedente e il gelo ebbero il sopravvento. Quella stessa fame che viene dopo un orgasmo, ma che per gli animali è solo istinto di sopravvivenza.
Mentre flirtava con qualche debole odore nell’aria si ritrovò in un viale con un giardinetto, dove vide un furgoncino con sopra un’insegna luminosa. Sotto di esso un mare di fango. Non era la luce che cercava e non era certo quella luce che l’attirava, ma l’odore di olio, carne e spezie era troppo forte per lei. C’erano degli uomini e della musica alta, forte.
“Love, love is a verb, love is a doing word, feather’s on my breath, gentle impulsion, shakes me makes me lighter, feather’s on my breath…”
– Cazzo ma cambia un po’ disco, questi ti fan venire voglia di tagliarti le vene.
– Ma che ne sapete voi di musica.. Anche se la mia canzone preferita è un’altra. Come lo vuoi il panino, bomber? –
Petra sentiva l’odore della carne. La bramava. Uno degli uomini aveva un grosso hot dog in mano e si stava sbrodolando di salse la giacca, contorcendosi come un cobra per cercare di acciuffare con la lingua gli zampilli di ketchup. L’altro ancora stava affondando le mani in un sacchetto di nachos e ingurgitava a fatica preso dalla foga; ogni volta che parlava sputava per terra pezzi di cibo e si leccava le dita con ingordigia. Non voleva godere solo a metà. Il terzo aspettava il panino. Sembravano creature possedute talmente erano avide nel mangiare. Possedute e grasse come maiali pronti per il macello.
Petra notò un’altra cosa: c’erano anche due cani al guinzaglio, belli grossi. Uno senza la coda, uno senza un orecchio. Il cane senza la coda sembrava un pitbull, perdeva vistosamente saliva. Il cane senza un orecchio invece somigliava a un dobermann.
Notarono subito la lupa, l’odore di una femmina non poteva passare inosservato.
– E quello da dove spunta?
– E’ un lupo? Ma che siamo, in montagna?
Petra cominciò a ringhiare. Aveva fame e non sei tranquillo se hai fame.
– Dai dai, vediamo che succede!
– Sì Gus, fallo ti prego! Ti dò cinque dollari se lo fai.
Per cinque dollari si può fare quasi qualsiasi cosa. Gus, che stava aspettando il suo panino e lo sapeva bene, liberò i due cani.
Immediatamente si fiondarono in direzione di Petra, che non arretrò di un passo ringhiando e abbiando.
Quello senza coda aveva sempre di più la bava alla bocca, l’altro cominciò a pisciare per marcare il territorio. Il testosterone si mischiava all’acqua in una miscela esplosiva e la pioggia e il vento aumentavano d’intensità. Aria di tempesta.
Mentre il cane senza coda con uno stacco poderoso cercò di mordere la lupa, questa sfoderò di nuovo le zanne per difendersi.
Poi si sentì prendere da dietro, il cane senza un orecchio stava cercando di montarla. Sentiva i suoi sbuffi, il suo cazzo bollente che sfidava il freddo. Quel cane voleva farle capire chi era il maschio alpha, che è lui il padrone di quel quartiere, della città, del mondo. Quando i maschi ragionano con il pitone che hanno tra le gambe hanno una certa tendenza a sentirsi i signori dell’universo.
Gli uomini ridevano e mangiavano istericamente. Incitavano il cane senza un orecchio e deridevano la lupa per il suo tentativo di resistere. Ma Petra non si faceva sottomettere da nessuno. Era un lupo, non un cane. Lei aveva artigli, non unghie.
Si dimenò con tutte le sue forze fendendo l’aria con le sue fauci. Con una spallata fece ruzzolare nel fango il cane senza coda per poi saltargli addosso e stringere anche lui nella sua morsa letale. La tattica era consolidata ma non aveva fatto i conti con il compare che immediatamente le morse una zampa posteriore, così forte da farle perdere la presa.
I due cani erano di nuovo davanti a lei. Petra perdeva sangue dalla zampa ferita. Studiò la situazione, non aveva molte speranze contro due nemici in contemporanea. Nonostante fosse una furia, riuscì a mantenere la lucidità per fare la scelta più giusta: scappare. Era molto sveglia, una delle tue sue tante qualità. Qualità che potevano significare sopravvivenza.
Si mise a correre all’impazzata tra i vicoli marci della città. Seguita dai due cani, che non volevano abbandonare la preda. Una femmina che scappa è troppo invitante.
– Cerbero!!! Pluto!!! Ma dove cazzo andate, tornate qua!!!
Petra cercava di mettere più distanza possibile tra sé e i due assalitori, ma questi non mollavano l’osso. Due fottuti mastini. La pioggia bagnava gli occhi della lupa, e questo la spaventava. Ogni distrazione poteva essere fatale.
D’un tratto, vide una luce gialla di fronte a sé, nell’oscurità.
Luce. Si ricordò che doveva cercare la luce. Era quella che stava cercando? La salvezza? Ci mise ben poco a scoprirlo.
Quella luminescenza era il fanale di un taxi lanciato a tutta velocità. L’altro era rotto. Ci furono rumori di clacson, altre luci, urla e bestemmie. Petra perse la cognizione del tempo e dello spazio, sballottata via su cofani e portiere di altre auto.
– Ma che cazzo fai, ma come cazzo guidi! Sei proprio una donna!
– Come ti permetti coglione, sei tu che non hai rispettato il rosso! E poi c’erano quei cani in mezzo alla strada!
Petra riaprì gli occhi. Vide un uomo che cercava di spostare il suo taxi che si era schiantato contro un palo. Lì vicino c’era il cane senza la coda, che ora aveva perso anche le zampe posteriori e qualche organo interno.
La strada. Doveva proseguire. Nel caos intorno a lei non vedeva l’altro cane, doveva essere morto anche lui. Meglio così.
Si ritrovò così in un grande parco. Il cancello era aperto.
Era un posto strano, pieno di pietre alte e lisce. C’era silenzio. Il buio dirigeva l’orchestra e le nuvole cantavano a squarciagola note umide e fredde.
Petra era frastornata. Andava avanti caracollando, forse aveva qualcosa di rotto. E non erano solo le ossa.
La sua attenzione venne attirata da due figure in lontananza. Due umani, un uomo e una donna. Erano davanti ad una di queste pietre alte e lisce. La donna singhiozzava disperata. Petra poteva avvertire il suo dolore, era una creatura molto empatica. L’uomo dietro alla donna manteneva un certo distacco, ma cercava di consolarla sotto il suo ombrello.
– Devi farti forza, Jessica, dai.
– Gli avevo detto che era finita tra di noi, ma non era vero. Volevo solo… Volevo solo che smettesse di andare allo stadio con quegli altri e…
– Forse era destino che finisse così. Tu non ci pensi mai? Crediamo di avere tutta una serie di infinite strade davanti a noi, ma alla fine non è così. Certe cose non possono succedere per caso. Era già scritto, già segnato. Rassegnati.
– Io n-non…
– Non potevi farci niente. Nessuno poteva farci niente. Jason non poteva farci niente, e nemmeno quegli altri amici con cui si vedeva. La vita è così, è una merda in cui puoi galleggiare finché chi è lassù in alto non arriva per spingerti la testa ancora più sotto e farti annegare. Siamo solo pedine. Fottute pedine. E dobbiamo rassegnarci. E fidati se ti dico che se la pensi così, vivrai molto meglio, fidati.
Petra non capiva cosa diceva quell’uomo. Ma anche avesse avuto la capacità di comprendere i discorsi degli uomini, non sarebbe stata d’accordo. Lei era uno spirito selvatico, non avrebbe mai potuto concepire il fatto che il mondo non fosse piegabile ai suoi occhi, alle sue azioni.
Lei era artefice del suo destino. Inconsciamente, l’aveva sempre saputo e nessuno le avrebbe mai fatto cambiare idea. Lei non cambiava idea facilmente.
L’uomo si accorse della presenza della lupa. Farfugliò qualche parola e ottenne un ringhio di risposta. Petra si avvicinò, annusando ma rimanendo a debita distanza. Sentiva la loro paura, ma anche il loro rispetto. Non avanzò oltre. Petra era così, non dava confidenza, teneva sempre gli altri a distanza. Le piaceva annusare, conoscere, per poi andarsene per la sua strada. Un po’ per scelta, un po’ per istinto. Razionalità e impeto in lei convivevano, ma non troppo pacificamente.
Aveva una carattere rigido, senza dubbio. Imponeva tante cose a se stessa, non sempre cose giuste.
Si allontanò, e nel mentre la pioggia cominciò a scendere più forte. Continuava a non abituarsi al freddo.
Un piccolo lumicino rosso comparve improvvisamente poco oltre un grande albero.
Un fulmine squarciò il cielo, illuminando la scena. Per fortuna non era un’automobile stavolta. Era “solo” il cane senza un orecchio e ora senza un occhio che digrignava ferocemente i denti di fronte a lei, in piedi su una lastra di marmo e cupo come la mietitrice. Pisciò sulla foto del defunto per poi scagliarsi nuovamente su Petra con la furia di chi aveva visto la morte con un solo occhio.
Cominciò una nuova colluttazione sotto il diluvio, i due animali lottavano zanna contro zanna. Il cane senza un orecchio con una testata colpì la lupa e la fece cadere indietro. Lei si spaventò perché sentì cedere il terreno sotto i piedi, non aveva appigli, stava scivolando in una fossa ancora aperta. Ma prima di farlo, con con un colpo di reni afferrò con un morso una zampa del suo avversario.
E caddero insieme.
Il combattimento continuava, nella melma. C’era solo odio, solo voglia di supremazia. Di nuovo, nessuno voleva cedere, sembravano due gladiatori all’interno di un’arena e i rami degli alberi silenti spettatori di un macabro spettacolo.
L’ammasso di terra fuori dalla fossa, lasciata lì da un becchino poco solerte che probabilmente aveva barattato la fine del lavoro con una partita di calcio in televisione, cominciò a scendere nella fossa stessa a causa della pioggia torrenziale. Fango liquido, argilla primordiale, la fossa si stava trasformando in una trappola senza via d’uscita. Come sabbia all’interno di una clessidra stava segnando il tempo mancante alla morte dei due contendenti.
Le pareti erano troppo alte per uscire, troppo scivolose. Petra resisteva agli attacchi del suo assalitore, ma cominciò ad avere paura. Paura di non farcela.
La terra continuava a cadere, creando una palude in cui i due animali cominciarono lentamente ad annaspare. Il cane senza un orecchio e ora senza un occhio avvertì il pericolo e divenne ancora più feroce. Ma si distrasse un attimo girandosi verso una parete che stava sgretolandosi e Petra intravide il momento. Vigile, sempre vigile.
Con le ultime forze rimastele scattò in avanti saltando sulla schiena del nemico, e arrivando al bordo della fossa con un morso fatto più di speranza che non di forza si appese ad una radice esterna del grande albero lì davanti. Sentì dietro di lei una fila di denti affondare nella carne.
Ma con la forza della disperazione riuscì a tirarsi su.
Dopo poco la fossa si riempì quasi totalmente di terriccio, i latrati scomparvero e rimase solo il vento a spezzare il ticchettio della pioggia. Petra si incamminò nella notte. Era viva. Forse solo un po’ stanca. L’acqua lavava via il fango dal suo pelo, sciacquando le tracce di vermi e paura.
Riprese a vagare nella città ma presto decise di fermarsi, per accasciarsi in un vicolo protetto da una tettoia. Stava soffrendo per le ferite e non si curò di nient’altro se non quello di trovare una posizione vagamente comoda. Almeno lì sotto sembrava asciutto.
Cominciò a tossire. Sputò un po’ di sangue misto a bava e bile per terra. Non se la passava granché bene. La testa girava e la sua mente iniziò a vagare. Era stanca di tante cose, non solo spossatezza fisica.
Era stanca di questa notte che sembrava non finire mai, di quella luce irraggiungibile, delle ferite, di soffrire. Stanca di essere sola. Perché doveva sentirsi così? Perché doveva essere lei a tirarsi fuori da guai, perché non poteva esserci qualcuno a darle una mano? Perché nei momenti di difficoltà poteva contare solo su se stessa?
Così forte, eppure così fragile. Così decisa, eppure così insicura. Un diamante che si increspa con il cristallo. Era tante cose.
Chiuse gli occhi, per un attimo. Voleva solo riposarsi. Dormiva poco, e quando lo faceva di solito era preda degli incubi, ma in quel momento aveva voglia di rilassarsi. Vide una luce, una luce calda rassicurante. Era quella giusta? Sembrava quasi chiamarla. La luce si deformava in lunghe spirali per poi abbozzare alcune forme geometriche e dopo ancora immagini caleidoscopiche. C’erano dei volti, c’era qualcosa. Petra era tranquilla. Voleva seguirla in pace.
– E tu chi sei? – chiese una voce dall’altra parte del vicolo, ridestando la lupa. Lei si girò. Vide un uomo seduto con la schiena al muro. Ben vestito.
– Non è una bella serata per andare in giro da soli – continuò. – Non hai un padrone? –
Petra rimaneva in silenzio. Appoggiò il muso sulle zampe anteriori e cominciò a ringhiare debolmente. Non sembrava un tipo pericoloso, ma ormai si è capito che era di natura un po’ scontrosa.
L’uomo teneva in mano un bonsai rinsecchito.
– Sei un bel cane sai? Mi ricordi il mio. Era bello, aveva il pelo lungo e bianco come la neve. Si chiamava Snack. Adorava fare lunghe passeggiate e andarmi a prendere il giornale in giardino la mattina. Mi leccava in faccia ogni volta che tornavo a casa da lavoro.
Avevo un bellissimo lavoro, facevo l’architetto, davo forma ai sogni di vita delle persone. Avevo anche una bellissima moglie e una bellissima bambina. Eravamo una famiglia felice. Sai, la domenica si stava insieme, si andava a fare qualche gita fuori porta con Snack, la sera a cena con gli amici o al cinema o al teatro. Eravamo una famiglia felice. Molto felice. Poi ho conosciuto un’altra donna, una collega. L’ho amata, l’ho desiderata. Me la sono scopata. Mi faceva girare la testa, lei mi diceva che dovevo mollare tutto e venire con lei. Mi diceva che ero l’unico per lei, che ero tutto per lei. Mi disse che ero il primo, per lei. Mi faceva sentire così giovane, così desiderato.
Così virile.
Era il pepe che mancava. Ho lasciato mia moglie e la mia bambina e il mio cane per lei. Sono andato a vivere con questa ragazza ma dopo poco la lasciai. Mi accorsi in fretta di come mi mancasse tutto quello che avevo e mi decisi a tornare a casa. E tutto sembrava come prima: il cane che arriva leccandomi in faccia appena messo piede sull’uscio. Anche mia moglie mi accolse, ma vidi che leccava la mazza di qualcun altro mentre entrai in camera da letto. La ragazza con cui tradivo mia moglie nel frattempo iniziò a scoparsi il mio superiore. E per farmi pagare il fatto di averla mollata lo convinse con un pretesto a licenziarmi. –
L’uomo continuava imperterrito il suo racconto, facendo roteare tra le mani il bonsai.
– Avevo un bellissimo cane e un bellissimo lavoro e una bellissima moglie e una bellissima bambina. Ora non mi rimane niente a parte questa pianta che tenevo sul comodino.
Petra continuava ad ascoltare anche se non capiva le parole. Le piaceva quel tono di voce, calmo. Le piaceva ascoltare, in fondo. Le piaceva quando qualcuno le raccontava una storia.
– Sei un bel cane sai? Mi ricordi il mio. – L’uomo si alzò di scatto. Petra avvertì qualcosa.
– Mi ricordi la mia vita. Mi ricordi che non ho più una casa, un lavoro, una famiglia.
Petra cominciò a spaventarsi. L’uomo tirò fuori una pistola.
– Mi dai sui nervi. Mi ricordi troppe cose. Mi dici cosa cazzo mi è rimasto?! EH?! Il futuro mi è rimasto!!! –
Puntò la pistola. Petra era immobile. Si sentì uno sparo nel vicolo.
L’uomo cadde a terra, con metà cranio spappolato e la pistola ancora in bocca.
– I-io f-fon il f-futuro mi ci f-fulisco il f-fulo…
Petra era spaventata. L’odore della disperazione si univa a quello di sangue e polvere da sparo. Ma era una disperazione diversa da quella che l’aveva tenuta in vita negli scontri precedenti. Questa non aveva speranza, solo un senso di vuoto. Quel vuoto che non sai come riempire. Solo ombra senza luce.
Si ridestò d’improvviso ricordandosi di essere un lupo. Si maledì per essersi seduta e non solo in senso fisico. Non le era mai piaciuto arrendersi, non doveva arrendersi. Un lupo non si arrende mai.
Potevano ferirla, colpirla, maltrattarla ma avrebbe sempre ringhiato di fronte alle difficoltà. Non avrebbe fatto la fine di quell’uomo.
Non doveva cercare la luce, poteva non trovarla. Era lei stessa luce, una stella inesplosa. Doveva convincersene. Poteva fare qualsiasi cosa se lo avesse voluto, dentro di sè avrebbe trovato la forza per irradiare la via. Solo da sola ne sarebbe uscita. Da sola avrebbe ritrovato i ricordi che cercava.
Non possiamo pretendere che gli altri ci siano, se non siamo noi stessi a dare il buon esempio. Petra istintivamente fece sua questa lezione e si rialzò. Mente libera che si staglia all’interno di un dedalo di vicoli. Sentiva il sangue pulsare nelle vene e riprese a correre. Incurante di tutto e di tutti. Solo per se stessa, come doveva essere. Questo era il suo viaggio.
E alla fine, come per magia, la vide. La fiamma che stava cercando.
Ritrovò per caso la via in cui abitava il suo uomo, una schiera di palazzi e appartamenti. In fondo, aveva fatto tutta quella strada per rivederlo, per ritornare da lui. Cominciava a ricordare.
Riconobbe i muri, l’albero caduto nelle vicinanze, il negozio di dischi da cui proveniva sempre musica e tutto il resto. L’aveva ritrovato.
Il cuore riprese a battere forte. Petra si fermò, non era abituata a manifestare le proprie emozioni, la cosa la metteva a disagio. Non le piaceva agitarsi, ma in questo momento era inevitabile per lei.
Chissà se era preoccupato per la sua scomparsa, chissà se la stava cercando. Sì che lo era, non doleva farlo aspettare. A modo suo, per quello che poteva fare un lupo, Petra si preoccupava per gli altri. Anche in questo, era diversa.
Riconobbe il neon del “Sauris Motel”. Aveva una buffa insegna a forma di dinosauro ed emanava una luce verdastra ad intermittenza. Lui abitava nella casa a fianco a quella luce. La vedeva sempre di notte, dalla finestrella. Si mise di fronte alla porta chiusa e cominciò a grattarla con le zampe.
– Ma guarda chi si vede!
Petra riconobbe la voce dietro di lei. Si trattava di un amico del suo uomo. Con la sua solita maglia a righe bianche e nere, una barbetta ispida e lo sguardo viscido. Aveva un sacco della spesa.
Petra lo accolse con un ringhio. Non si fidava di lui, non si era mai fidata.
– Buona, buona! Che c’è, hai fame? Tieni…
Shaun tirò fuori una confezione di carne, ne staccò un pezzo e gliela porse. Petra era stranita, non era abituata a quelle gentilezze.
– Dai, mangia, che te lo vado a chiamare.
Petra rimase lì fuori, sotto la pioggia, con quel pezzo di bistecca davanti. Le faceva gola. Si calmò, e lasciò passare Shaun assaporando finalmente un po’ di cibo. Lo stomaco si schiuse a poco a poco.
Poi dopo pochi minuti, lo vide. Era lì. Forte, con le spalle larghe, il pizzo nero e un sorriso pieno di macchie da fumo. Petrà non abbaiò. Non voleva attirare l’attenzione. Si limitò ad aspettare che lui venisse da lei. Lui la riconobbe subito.
Lì, immobile e con una bistecca mangiucchiata ai suoi piedi.
Bellissima, con il manto bagnato dalla pioggia e i riflessi della notte che giocavano nei suoi occhi così chiari e al tempo stesso così incandescenti. Sembrava che ridesse. I mondi dentro di lei si aprirono scacciando le ombre tutt’intorno. Emanava luce come un sole.
L’uomo con il pizzo nero e le spalle larghe e il sorriso pieno di macchie di fumo si avvicinò immediatamente, inchinandosi di fronte a lei, come un duca davanti ad una principessa. Le prese il muso fra le mani. Lei cominciò a mormorare di piacere.
Ma ne ricevette in cambio solo una strana sensazione di freddo. Un freddo aguzzo e c’era qualcos’altro…
– E’ incredibile, vero Shaun?
L’odore di benzina sulle mani del suo uomo. Quello stesso odore che ricordava con terrore quando si era risvegliata nello stanzino.
– Tornano indietro come le maledizioni queste luride cagne. Peggio di un boomerang cazzo.
Un colpo violento. Un’altra costola rotta. Una luce. Una luce gialla che si muoveva di fronte ai suoi occhi e che si infranse più volte sul suo muso.
Petrà ringhiò, ma non era convinta. Ora ricordava cos’era quella luce. Ricordava tutto. La luce che aveva inseguito. La torcia che l’uomo dal pizzo nero e dalle spalle larghe usava per picchiarla quando non stava al suo posto, di notte. La usava quando non aveva voglia di sporcarsi le mani.
Spesso passiamo la vita a fuggire dal male, dalla violenza. Eppure ne siamo anche così attratti. A volte ci fa sentire più vivi, a volte cicatrizza in maniera infetta ferite che non si rimarginano. Passiamo tutta la vita a scappare dai ricordi, ma poi ne rimaniamo sempre schiavi. Cerchiamo la libertà, per poi accorgerci di non desiderarla davvero. Ci tormentiamo per il dolore, eppure a volte lo cerchiamo, perché magari è l’unica cosa che ci salva da mostri ancora peggiori: la solitudine. L’apatia.
Petra era uno spirito libero, era selvatica. Ma non sapeva vivere senza i ricordi. Talvolta si faceva schiacciare da essi, come tanti in questo mondo.
Quella fiamma che fino a poco prima ardeva in lei, lentamente si spense, sotterrata da cumuli di macerie. I mondi che si erano aperti stavano venendo a poco a poco seppelliti da colate di pece. Stava morendo su quel marciapiede, non per i colpi ma per qualcos’altro, di più bastardo e profondo.
In quel momento si decise che doveva pensare a qualcosa di bello, per bilanciare. Le venne in mente solo il gelato al pistacchio. Le era capitato una volta di assaggiarlo e convenne che era il cibo più buono di tutto il creato. Il gelato al pistacchio era un ottimo pensiero, prima di morire. Buffo, ma ottimo…
– Keegan O’Brien?
L’uomo dal pizzo nero e dalle spalle larghe chino su Petra, che effettivamente rispondeva al nome di Keegan, alzò di scatto la testa. Vide una figura nell’oscurità, dall’altro lato della strada, immersa in una giacca di pelle. Non riusciva a riconoscerne il volto, portava una maschera.
– Il giusto godrà nel vedere la vendetta, laverà i piedi nel sangue dei malvagi. Gli uomini diranno: c’è un guadagno per il giusto, c’è un Dio che fa giustizia sulla terra. –
Dopo aver pronunciato quelle parole l’uomo in piedi all’ingresso del vicolo, conosciuto da molti come il Nero Cherubino, estrasse con velocità disarmante una pistola e fece fuoco.
Il rumore sordo dei proiettili si estese in tutta la via, ma nessuno si affacciò dalle finestre.
Shaun fu un bersaglio facile. Grande e grosso com’era, venne crivellato dai proiettili e cadde all’indietro come un sacco di letame cascato da un trattore.
Si sentivano solo più i clic dell’arma ormai scarica.
Keegan però era più duro a crepare. Colpito al fianco destro e alla spalla sinistra fece solo una smorfia di dolore mentre sfoderava un lungo coltello. Iniziò ad avvicinarsi con il suo solito ghigno, ma stavolta grondante sangue.
– Hai finito i colpi, figlio di puttana. Ora vedrai che non avresti mai dovuto scherzare con il capo degli Striped Vipers.
Il Cherubino estrasse con la mano sinistra una seconda pistola dalla giacca e svuotò il caricatore sul suo avversario. Keegan crollò al suolo con il volto tumefatto. Ci avrebbero messo un bel po’ per riconoscerlo, all’obitorio.
– Non ho mai avuto un grande senso dell’umorismo.
Petra aveva assistito abbastanza impotente alla scena. Non sapeva cosa pensare, cosa fare. Era così spaventata eppure così in pace. Sentiva di essersi liberata di un macigno, ma al tempo stesso cosa poteva aspettarsi da quell’uomo incappucciato? Alle botte seguono sempre altre botte.
Quell’uomo, quell’uomo con le pistole, le avrebbe fatto del male?
Aveva poca importanza. Niente ne aveva più. Non c’era più forza dentro di lei. Il freddo e le gocce d’acqua pungevano il suo corpo come tanti aghi. Le ricordavano che era ancora viva, dopotutto.
Il Cherubino si avvicinò minaccioso, con le armi che fumavano al contatto con la pioggia.
Petra ringhiò, un’ultima volta. Era la cosa più facile, la reazione primaria. Anche alla fine, voleva rimanere coerente con se stessa.
Il Cherubino alzò una mano verso la lupa e in risposta Petra azzannò quella mano, strappando un lembo di guanto e assaporando ancora il sapore del sangue. Poi chiuse gli occhi, aspettandosi il peggio. Aspettando il colpo. La fine.
Ma non arrivò.
Quando li riaprì l’uomo in giacca di pelle era ancora lì di fronte a lei, si era tolto la maschera. Vide un volto stanco, rigato dall’acqua e gonfio di malesseri, fantasmi e stati d’animo contrapposti.
Il Cherubino mosse di nuovo la mano ferita verso Petra, sfiorandole il muso dalla testa fino alla base del collo, stropicciandole l’orecchio sinistro. E lei per alcuni secondi si sentì invasa da una sensazione così particolare: per un attimo ritornò a quando era solo una cucciola, quando tutto era facile e spensierato, quando il gioco era l’unico istinto possibile.
Nel gelo di quella notte, per un attimo Petra provò calore. Un calore, strano, nuovo. Non sapeva come classificarlo, catalogarlo. E immediatamente si impaurì, ritraendosi di scatto.
Il Cherubino allora si rialzò nuovamente e si girò, andandosene. Senza dire niente.
Petra non sapeva cosa fare. Era una tempesta di emozioni dentro di sé. Aveva paura, una fottuta paura. Si sentiva sull’orlo di una cascata e stava guardando di sotto. Fece allora una cosa un po’ inusuale per lei: buttarsi. Senza guardare, senza pensare.
Si rimise in piedi sulle quattro zampe e zoppicando e caracollando si avvicinò al Cherubino. Camminarono entrambi, nel silenzio, senza guardasi. Fianco a fianco. Come binari del treno in attesa di uno scambio, per incontrarsi o allontanarsi per sempre.
Nel suo corpo scorreva sangue di lupo, e questo la rendeva diversa da tutti gli altri cani della sua taglia. Lei era speciale, unica, come chi non sa di esserlo. Negli anni poi aveva maturato la convinzione di esserlo davvero, un lupo, e non un semplice incrocio di razze. Lei non aveva mai avuto bisogno di sapere altro. Sapeva quello che doveva fare, se voleva qualcosa cercava sempre di ottenerla. Per lei non esistevano tentazioni. Prendere o lasciare, bianco o nero.
Albeggiava. Dal cielo cadevano ancora gemme grezze che non avrebbero arricchito nessuno, se non i poeti dell’oscurità. La sera porta consiglio, dicono. E qualcuno che aveva attraversato l’inferno imparò che anche un lupo ha bisogno di una carezza, ogni tanto.
Soprattutto in una notte senza stelle.
FINE